AZIONE CIVILE DI RESPONSABILITA’ VERSO GLI AMMINISTRATORI

“quanto segue non è un consiglio legale e non deve essere interpretato come tale; per una consulenza chiamami al 348/3268065.”

 

AZIONE CIVILE DI RESPONSABILITA’ VERSO GLI AMMINISTRATORI

La quantificazione del danno secondo il nuovo Codice delle Crisi e dell’Insolvenza

L’avvento del nuovo Codice della Crisi ha apportato numerose modifiche al Codice Civile fra cui un nuovo sistema di quantificazione economica del danno, introdotta attraverso la previsione del 3° comma dell’art. 2486 c.c.,  in caso di azione di responsabilità promossa contro gli amministratori.

Prima della riforma portata dal nuovo Codice della Crisi, la Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n. 9100/2015 aveva consolidato il principio della sussistenza del cd. nesso causale tra la condotta commissiva e/o omissiva degli amministratori ed il danno causato ai creditori sociali ai fini del riconoscimento della pretesa risarcitoria avanzata.

Fatti salvi i casi nei quali le condotte di mala gestio siano individuabili e misurabili in maniera analitica, come diretta conseguenza del danno arrecato, per la concreta quantificazione del danno si era già affermato il “criterio dei netti patrimoniali” ossia, la differenza tra l’ammontare del patrimonio netto al momento della verificazione della causa di scioglimento e l’ammontare del medesimo al momento effettivo dello scioglimento. Ciò non è possibile nei casi di omessa o irregolare tenuta della contabilità pertanto, in via residuale era ammesso il ricorso al “criterio della differenza tra attivo e passivo fallimentare” con riferimento all’attivo realizzato ed al passivo accertato e ammettendo in ogni caso una stima in via equitativa del danno ex art. 1226 c.c.

Nel caso di procedure fallimentari va aggiunta anche l’omessa o parziale consegna al Curatore delle scritture contabili, che ostacolano le operazioni di verifica e la ricostruzione ex post del danno effettivamente arrecato, con aggravio della posizione degli amministratori sotto il profilo penale fallimentare.

Sul tracciato giurisprudenziale, la nuova formulazione dell’art. 2486 c.c. individua oggi un criterio principale di quantificazione sulla base dei netti patrimoniali, fatta salva la possibilità per gli amministratori di dimostrare un diverso ammontare, ed un criterio sussidiario cd. differenziale, applicabile in caso di procedure concorsuali e di scritture contabili mancanti o irregolari.

 

La situazione prima dell’introduzione del nuovo Codice della Crisi e dell’Insolvenza

Prima della riforma, il principio applicato era quello delineato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 9100/2015 la quale stabilisce: “nell’azione di responsabilità promossa dal curatore del fallimento di una società di capitali nei confronti dell’amministratore della stessa l’individuazione e la liquidazione del danno risarcibile dev’essere operata avendo riguardo agli specifici inadempimenti dell’amministratore, che l’attore ha l’onere di allegare, onde possa essere verificata l’esistenza di un rapporto di causalità tra tali inadempimenti ed il danno di cui si pretende il risarcimento. Nelle predette azioni la mancanza di scritture contabili della società, pur se addebitabile all’amministratore convenuto, di per sé sola non giustifica che il danno da risarcire sia individuato e liquidato in misura corrispondente alla differenza tra il passivo e l’attivo accertati in ambito fallimentare, potendo tale criterio essere utilizzato soltanto al fine della liquidazione equitativa del danno, ove ricorrano le condizioni perché si proceda ad una liquidazione siffatta, purché siano indicate le ragioni che non hanno permesso l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore e purché il ricorso a detto criterio si presenti logicamente plausibile in rapporto alle circostanze del caso concreto”.

In base a tale principio era necessario dunque specificare le condotte generatrici di danno ed il nesso causale, appunto, tra condotta e danno.

Il criterio determinato in virtù della differenza tra attivo realizzato e passivo accertato operava esclusivamente per la liquidazione in via equitativa ex art. 1226 c.c. e, dunque, in via residuale.

Nella prassi sono stati individuati specifici atti pregiudizievoli per la determinazione in via analitica del danno causata all’integrità patrimoniale da parte degli amministratori, come, in via non esaustiva: gli atti distrattivi il cui danno è pari alla sottrazione lesiva commessa; il mancato pagamento degli oneri fiscali e contributivi il cui danno è pari alle sanzioni irrogate ed agli interessi maturati; le irregolarità contabili che abbiano in concreto arrecato dei pregiudizi al patrimonio della società. Le curatele fallimentari del foro di Frosinone hanno fatto emergere spesso la violazione, in caso di abbattimento del capitale sociale al di sotto del  minimo legale, dell’art. 2482 ter c.c. e più in generale dei principi espressi dall’art. 2486 c.c. in presenza di cause di scioglimento. Di fondo, quindi, la responsabilità deriva dalla mancata conservazione del patrimonio, dall’omessa assunzione di misure volte a ridurre le perdite ed il conseguente degenerare dei costi [1]. Segnatamente, la prosecuzione dell’attività in violazione di siffatto dettato normativo infatti, comporta generalmente un aggravamento del passivo e/o, quantomeno, una riduzione del patrimonio netto.

Dottrina e giurisprudenza, pertanto, avevano individuato tre criteri di quantificazione del danno in caso di violazione dell’art. 2486 c.c. da parte degli amministratori: criterio analitico del danno quale conseguenza immediata e diretta di determinate condotte in base al dettato dell’art. 1223 c.c.; il criterio dei netti patrimoniali quale differenza tra l’ammontare del patrimonio netto al momento della verificazione della causa di scioglimento e l’ammontare del medesimo al momento effettivo dello scioglimento ed il criterio differenziale quale differenza tra attivo realizzato e passivo accertato in corso di procedura.

 

Le novità introdotte con la riforma

Con l’introduzione del nuovo Codice della Crisi e dell’Insolvenza è stato modificato anche il codice civile in numerose parti tra cui il dettato dell’art. 2486 c.c. che oggi recita: “quando è accertata la responsabilità degli amministratori a norma del presente articolo, e salva la prova di un diverso ammontare, il danno risarcibile si presume pari alla differenza tra il patrimonio netto alla data in cui l’amministratore è cessato dalla carica o, in caso di apertura di una procedura concorsuale, alla data di apertura di tale procedura e il patrimonio netto determinato alla data in cui si è verificata una causa di scioglimento di cui all’articolo 2484, detratti i costi sostenuti e da sostenere, secondo un criterio di normalità, dopo il verificarsi della causa di scioglimento e fino al compimento della liquidazione. Se è stata aperta una procedura concorsuale e mancano le scritture contabili o se a causa dell’irregolarità delle stesse o per altre ragioni i netti patrimoniali non possono essere determinati, il danno è liquidato in misura pari alla differenza tra attivo e passivo accertati nella procedura”.

Si evince che, la nuova formulazione dell’art. 2486 c.c., non apporta modificazioni i primi due commi, lasciando intatta la responsabilità dell’amministratore che non sia adoperato immediatamente al verificarsi dei presupposti per lo scioglimento della società e che abbia continuato a far generare costi anziché limitare l’attività alla conservazione del patrimonio.

La parte novellata dell’art. 2486 c.c. introduce, invece, due dei metodi di calcolo in precedenza individuati dalla dottrina e dalla giurisprudenza per la quantificazione del danno imputabile agli amministratori, ossia, uno principale dei “netti patrimoniali” e uno “differenziale” applicabile in via sussidiaria nelle procedure concorsuali, oltre che nei casi di mancanza di scritture contabili ed impossibilità di utilizzo del metodo dei netti patrimoniali e fatta salva la possibilità per l’amministratore di fornire la prova di un diverso ammontare.

L’intervento del legislatore quindi ha superato l’indirizzo dalla sentenza n. 9100/2015 delle Sezioni Unite la quale sanciva che la carenza delle scritture contabili non giustificava in via automatica il ricorso al criterio differenziale. Inoltre, è stata introdotta una inversione dell’onere della prova a carico dell’amministratore in quanto, nella nuova formulazione, è su quest’ultimo che insiste l’obbligo di dimostrare che la propria condotta non ha arrecato danni oppure che ha arrecato un danno diverso rispetto a quello determinato in base al metodo dei netti patrimoniali con abbandono della necessaria sussistenza del nesso causale tra la condotta dell’amministratore ed il danno causato [2] e dell’utilizzo in via residuale del metodo differenziale per le richieste di liquidazione in via equitativa.

 

L’applicabilità del novellato art. 2486 codice civile ai procedimenti in corso

In dottrina c’è chi ritiene valido il principio del tempus regit actum, ossia, l’atto è regolato dalla legge vigente nel momento in cui è posto in essere, con conseguente applicabilità della novella anche ai giudizi pendenti. Altri propendono per l’irretroattività della legge con conseguente inapplicabilità della norma novellata ai processi in corso.

In assenza di nuove pronunce giurisprudenziali sull’argomento, ci sovviene una datata sentenza della Cassazione, nello specifico la n. 3231/1987, la quale sancisce che: “la legge nuova non ha regolato il fatto o l’atto generatore del rapporto, ma soltanto un effetto di esso non ancora esaurito (ammontare del risarcimento del danno)…la legge sopravvenuta deve essere comunque applicata quando il rapporto giuridico disciplinato, sebbene sorto anteriormente, non abbia ancora esaurito i suoi effetti e purché la norma innovatrice non sia diretta a regolare il fatto o l’atto generatore del rapporto ma gli effetti di esso”. Dunque, secondo questo consolidato orientamento, qualora i giudizi non siano conclusi e ammesso che la norma non abbia riflessi diretti sull’oggetto della controversia ma solo sull’effetto, come per la quantificazione del danno, questa (nuova) è sempre applicabile.

 

Fonti in ordine di citazione:

[1] Corte di Appello di Milano, provv. n. 2153/2019 del 10 Giugno 2019.

[2] N. Abriani, A. Rossi, «Nuova disciplina della crisi d’impresa e modificazioni del Codice civile: prime letture» (p. 393 e ss.) rivista: “Le Società” articolo n. 4/2019, mensile di diritto e pratica commerciale societaria e fiscale.

 

Il presente scritto trae spunto dall’articolo n. 9/2019 di Norme e Tributi, focus del quotidiano economico-politico-finanziario “IlSole24Ore” edizione digitale.